Questo intervento è stato pubblicato con il titolo "On Nauru, a Sinking Feeling", a libera consultazione sul New York Times del 19 luglio 2011
Vi perdono se non avete mai sentito parlare del mio Paese. E' solo 8 miglia quadrate, circa un terzo delle dimensioni di Manhattan, e si trova nel Pacifico meridionale. Nauru appare soltanto come un puntino sulla maggior parte delle mappe, quando non manca del tutto, in una vasta distesa di blu.
Ma non sbagliate: noi siamo una nazione sovrana, con la nostra lingua, costumi e storia che risalgono a 3 mila anni fa. Nauru merita una veloce ricerca su Internet, vi assicuro, non solo scoprirete un Paese affascinante che viene spesso trascurato, troverete il racconto di un indispensabile ammonimento sulla vita in un luogo con forti limiti ecologici.
Le miniere di fosfati, prima con le imprese straniere e poi con le nostre, hanno spianato la lussureggiante foresta pluviale tropicale che un tempo ricopriva l'interno della nostra isola, hanno deturpato il territorio lasciandoci solo una sottile striscia di costa per vivere. L'eredità dello sfruttamento ci ha lasciato con poche alternative economiche e uno dei tassi di disoccupazione più elevati del mondo ed ha portato i precedenti governi a fare investimenti avventati che, in ultima analisi, hanno dilapidato il risparmio del nostro Paese.
Io non sono alla ricerca di compassione, ma piuttosto vi avverto di cosa può accadere quando un Paese esaurisce le sue opzioni. Il mondo è condotto lungo un percorso analogo con l'incendio inarrestabile di carbone e petrolio, che sta alterando il clima del pianeta, sciogliendo le calotte di ghiaccio, rendendo gli oceani più acidi e portandoci sempre più vicini al limite, ad un giorno in cui nessuno sarà in grado di dare per scontato di avere acqua pulita, terreno fertile o cibo abbondante.
Il cambiamento climatico minaccia anche l'esistenza stessa di molti paesi del Pacifico, dove il livello del mare dovrebbe aumentare di un piede o più entro la fine del secolo. Già ora, la costa di Nauru, l'unica zona abitabile, è in costante erosione, e delle comunità della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per sfuggire a maree record. I Paesi sotto il livello del mare di Tuvalu, Kiribati e le Isole Marshall possono sparire completamente entro la vita dei nostri nipoti.
Storie climatiche simili si stanno svolgendo in quasi tutti i continenti, dove è in atto un attacco costante di siccità, inondazioni e ondate di calore, che dovrebbero diventare ancora più frequenti e intense con il cambiamento climatico, hanno fatto sfollare milioni di persone e hanno portato alla diffusa scarsità di cibo.
I cambiamenti hanno già accresciuto la competizione per risorse scarse e potrebbero prefigurare la vita in un mondo dove i conflitti crescono sempre di più a causa delle catastrofi ambientali.
Eppure la comunità internazionale non ha iniziato a prepararsi per lo sforzo che sarà richiesto per le organizzazioni umanitarie e per le implicazioni per la stabilità politica in tutto il mondo.
Nel 2009, un'iniziativa dei Pacific Small Island Developing States, di cui sono presidente, ha indotto l'Assemblea generale delle Nazioni Unite a riconoscere il legame tra il cambiamento climatico e la sicurezza. Ma due anni dopo, nessuna azione concreta è stata presa.
Così ho appreso con piacere che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu domani inserirà il tema in un dibattito aperto, in cui avrò l'opportunità di affrontare il tema e ribadire le proposte della mia organizzazione.
Primo, il Consiglio di sicurezza dovrebbe unirsi all'Assemblea Generale nel riconoscere che i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Si tratta di una minaccia così grande come la proliferazione nucleare e il terrorismo globale. Secondo, dovrebbe essere nominato un rappresentante speciale per il clima e la sicurezza. Terzo, dobbiamo valutare se il sistema delle Nazioni Unite è di per sé in grado di rispondere ad una crisi di questa magnitudo.
La posta in gioco è troppo alta per attuare queste misure solo dopo un disastro che è già sopra di noi. I negoziati per ridurre le emissioni dovrebbero restare il forum principale per raggiungere un accordo internazionale. Non stiamo chiedendo ai caschi blu di intervenire, stiamo semplicemente chiedendo alla comunità internazionale un piano per la più grande sfida ambientale e umanitaria del nostro tempo.
Nauru ha iniziato un intenso programma per riparare il danno fatto dalle miniere e la mia amministrazione ha messo la sostenibilità ambientale al centro delle nostre politiche. Recuperare di nuovo integralmente la nostra isola sarà un processo lungo e difficile, ma è la nostra casa e non possiamo lasciarla per un'altra.
Vi perdono se non avete mai sentito parlare di Nauru, ma non vi perdonerò se ignorate la nostra storia.
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